Leodum is minum
swylce him mon lac gife
willað hy hine aþecgan, if he
on þread cymeð
Ungelic is us
Wulf is on iege, ic on oþerre.
Fæst is þæt
eglond, fenne biworpen.
Sindon wælreowe
weras þær on ige;
willað hy hine
aþecgan, gif he on þreat cymeð.
Ungelice is us.
Wulfes ic mines
widlastum wenum dogode.
þonne hit wæs renig
weder ond ic reotugu sæt,
þonne mec se beaducafa bogum bilegde;
wæs me wyn to þon,
wæs me hwæþre eac lað.
Wulf, min Wulf,
wena me þine
seoce gedydon,
þine seldcymas,
murnende mod,
nales meteliste.
Gehyrest þu,
Eadwacer? Uncerne eargne hwelp
bireð wulf to wuda.
þæt mon eaþe
tosliteð þætte næfre gesomnad wæs,
uncer giedd geador.
La traduzione
Per la mia gente è come un dono;
intendono ucciderlo se si presenta nel clan[1].
Il nostro destino è separato[2].
Wulf è su un’isola, io su un’altra.
Sicura è quell’isola, circondata da paludi.
Uomini crudeli e assassini sono su quell’isola;
intendono ucciderlo se si presenta nel clan.
Il nostro destino è separato.
Ho pensato con speranza al viaggio del mio Wulf,
nei giorni di pioggia sedevo disperandomi,
quando le forti braccia mi circondavano,
erano per me sia gioia che dolore.
Wulf! Mio Wulf, la mia speranza in te
mi ha reso malata, le tue rare visite
mi hanno resa ansiosa, non la mancanza di cibo.
Mi senti, Eadwacer? Il nostro vile cucciolo
portato dal lupo nel bosco.
Si può separare facilmente ciò che non era unito,
la nostra storia insieme.
Fin dai primi tentativi di studio il testo di Wulf and Eadwacer ha sempre suscitato numerosi dubbi sia dal punto di
vista lessicale che sintattico che interpretativo, per tale motivo annoverato
inizialmente tra gli Indovinelli[3]. L’incertezza
interpretativa ha dato vita a numerose versioni che tenterebbero di spiegarne
gli eventi.
Leodum is
minum swylce him mon lac gife;
willað hy hine
aþecgan, gif he on þreat cymeð. (vv. 1-2)
La vicenda si apre con quella che sembra una frase in sospeso: “Leodum is minum swylce him mon lac
gife”[4] non ha difatti referenti che lo
precedono, rendendo l’esordio incerto. Inoltre, il termine lac ha
suscitato numerosi dubbi e altrettante traduzioni: offerta, sacrificio,
dono; solo alcune di esse sono accettabili, nel contesto “dono” sembra la
più plausibile in quanto solitamente quando si vuole esprimere il sacrificio o
l’offerta si utilizzano verbi più solenni come offrian, bringan, beran,
onbleotan, bebeodan piuttosto che gifan[5]. La mancanza iniziale di
un referente ha portato in principio a pensare che il testo fosse un frammento
la cui parte iniziale fosse andata perduta. Tuttavia, nella totale incertezza
l’unica soluzione è cercare dei referenti nei versi successivi: “willað hy hine aþecgan, gif he on þreat cymeð” sembra darci alcune informazioni poiché hy potrebbe
riferirsi all’unico sostantivo plurale nel primo verso (Leodum),
tuttavia hine e he rimangono ancora senza referente – l’unica fievole
relazione che è possibile stabilire è tra he e lac, rispettivamente
un pronome singolare e un nome singolare (neutro)-. Anche il terzo verso
non sarà utile per dare un senso preciso ai primi due:
Esso aggiunge us “noi” che mette la voce narrante in diretta connessione
con qualcun altro. I versi successivi daranno alla vicenda una connotazione ben
più specifica:
Wulf is on
iege, ic on oþerre.
Fæst is þæt
eglond, fenne biworpen.
Sindon wælreowe
weras þær on ige;
willað hy hine
aþecgan, gif he on þreat cymeð. (vv. 4-7)
Questi versi ci forniscono i referenti che mancavano nei primi, assieme a
coordinate spaziali. Il pronome he
del secondo verso si riferisce probabilmente a Wulf il
quale, ci viene detto, si trova in un’isola circondata da paludi “Wulf is on
iege, ic on oþerre. / Fæst is þæt eglond, fenne biworpen.”. Nei versi successivi veengono definitivamente chiarite
le intenzioni dei componenti del clan, il verbo aþecgan poteva
essere portatore di due significati: “dar da mangiare” o “uccidere”[6], ma questa volta unito a wælreowe weras “uomini crudeli e assassini” fornisce una chiara connotazione.
Questo verso richiama evidentemente il terzo, tuttavia sussiste una minima
differenza: ungelic è infatti un
aggettivo, ungelice è un avverbio. L’utilizzo di us al
posto del duale uncer (utilizzato nei versi 16 e 19) fa
inoltre supporre che i referenti siano volutamente più di due, rimanendo
tuttavia indefiniti[7].
Wulfes ic
mines widlastum wenum dogode.
þonne hit wæs renig
weder ond ic reotugu sæt,
þonne mec se
beaducafa bogum bilegde;
wæs me wyn to þon,
wæs me hwæþre eac lað. (v. 9-12)
Con i versi 9-12 si raggiunge il massimo del pathos. Questi versi sono
inoltre importanti perché ci forniscono l’identità della voce narrante:
lo hapax reotugu “ contenuto
nel v. 10 è difatti un
nominativo femminile. La donna dunque segue a descrivere la sua disperazione “þonne
hit wæs renig weder ond ic reotugu sæt” e la presenza indefinita di braccia forti che al tempo stesso la
circondano di gioia e di dolore “mec se beaducafa bogum bilegde; / wæs me wyn to þon, wæs me hwæþre eac lað”.
Wulf, min Wulf,
wena me þine
seoce gedydon,
þine seldcymas,
murnende mod,
nales meteliste. (vv. 13-15)
La donna descrive la necessità della presenza di Wulf “Wulf, min
Wulf, wena me þine”, non è la fame a indebolirla e a renderla malata “nales
meteliste”, ma il dolore dell’attesa “seoce gedydon, þine
seldcymas”.
Gehyrest þu,
Eadwacer? Uncerne eargne hwelp
bireð wulf to wuda. þæt mon eaþe
tosliteð
þætte næfre gesomnad wæs, uncer giedd geador. (vv. 16-19)
Nei versi successive si ha una cesura, il soggetto al quale si rivolge
la donna non è più Wulf ma qualcuno che è chiamato Eadwacer “Gehyrest þu,
Eadwacer?” seguitando a parlare, forse in senso allegorico, di un loro cucciolo
(forse un figlio) che viene trasportato dal lupo nel bosco “Uncerne eargne
hwelp / bireð wulf to wuda.”. Il poemetto si chiuderà con la frase enigmatica “þæt mon eaþe
tosliteð þætte næfre gesomnad wæs” a sottolineare il sentimento
di rassegnazione che circonda la vicenda “uncer giedd geador”.
Interpretazioni
L’interpretazione maggiormente accettata[8] dai critici
vedrebbe nella vicenda la storia di una donna tenuta prigioniera in un’isola e
sposa di Eadwacer, che lei non ama. Le sue affezioni vanno invece a di Wulf, un
fuorilegge esiliato.
Un’altra interpretazione vedrebbe
invece la situazione capovolta: la donna è stata allontanata dalla sua gente
poiché moglie di Wulf, un esule. Eadwacer è il suo guardiano che intanto ha
instaurato una relazione con lei (i piani temporali dei vv. 9-12 sono difatti
confusi dai þonne, se i vv. 10-11 fossero delle temporali coordinate
l’azione avrebbe luogo nello stesso periodo: mentre Wulf era in esilio. Le
braccia che cingono la donna sarebbero dunque quelle di Eadwacer).
Questa versione sarebbe supportata
dalla teoria che attribuirebbe funzione connotativa ai nomi dei personaggi.
Wulf dunque non sarebbe solo un nome, ma metaforicamente rimanderebbe al
concetto di fuorilegge. Allo stesso modo, il nome Eadwacer presenta delle
caratteristiche connotative specifiche. La prima parte de nome “ead” è anche un sostantivo che rimanda al concetto di
“prosperità, ricchezza” mentre la seconda parte potrebbe essere ricondotta
all’aggettivo “wacor”[9] che
rimanda al concetto di “vigile, vigilante”. Nella mente dell’ascoltatore o del
lettore questi nomi avrebbero dunque formato un quadro ben specifico: Wulf un
fuorilegge, Eadwacer colui a guardia dei beni, forse la donna stessa.
La connotazione di Wulf come fuorilegge potrebbe sembrare forzata ma
trova riscontri sia in area anglosassone che norrena. Nella Völsungasaga e
più specificatamente nel Lamento di Signi, si utilizzano i termini an. ulfr / vargr per
designare Sigi, un antenato di Sigmund, il quale si era macchiato della colpa
di aver assassinato uno schiavo[10]. Inoltre, nella
sesta legge di Edward il Confessore è possibile osservare come la testa di un
fuori legge sia paragonata a quella di un lupo.
“Si postea
repertus fuerit et tenerit possit, vivus regi reddatur, vel caput ipsius si se
defenderit; lupinum enim caput geret a die ut lægacionis, quod ab Anglis
wluesheved nominatur. Et hæc sententia communis est de omnibus utlagis” [11]
Sempre
in area norrena troviamo dei riferimenti al figlio di un fuorilegge descritto
come vagrdropi “resti di lupo”[12].
Secondo questa teoria il cucciolo sarebbe dunque figlio di Wulf, non di
Eadwacer.
Connessioni con The Wife’s Lament,
Guðrúnarkviða in forna
Il testo di Wulf and
Eadwacer presenta numerosi
parallelismi con quello di The
Wife’s Lament e della Guðrúnarkviða in forna ma allo stesso tempo se ne discosta su diversi punti.
Se difatti negli ultimi due è possibile riscontrare un periodo di felicità che precede il capovolgimento della vicenda, nell’elegia qui analizzata non si ha
nessun riferimento al periodo precedente se non in modo velato o ambiguo nel
vv. 11-12 þonne mec se
beaducafa bogum bilegde; / wæs me wyn to þon, wæs me hwæþre eac
lað - il quale, come abbiamo
potuto vedere potrebbe riferirsi anche a un periodo successivo all’esilio di
Wulf - e in tutti i casi si riferirebbe al ricordo di una gioia velata di
dolore.
Un punto di stretto contatto con la Guðrúnarkviða e con la tradizione nordica
in generale possiamo individuarlo nella dimostrazione del dolore:
l’aggettivo reotig >viene fatto rientrare all’interno del campo semantico
del pianto. Il corrispettivo nordico di questo termine “rjóta” tuttavia ha una connotazione ben più definita, il cui
concetto si rifà piuttosto al suono che alle lacrime, quindi più a un
pianto disperato, come i cieli tempestosi di cui si parla in questo breve passo
del Beowulf:
1375 lað gewidru, oþðæt lyft ðrismaþ
roderas rēotað
I testi sono messi in relazione anche
dal complotto o odio dei
parenti nei confronti degli
amanti, i vv. 6-7 Sindon
wælreowe weras þær on ige; /willað hy hine aþecgan, gif he on þreat
cymeð. non fanno sorgere
nessun dubbio sulle intenzioni malevole del clan, ma diversamente da quello che
accade nella Guðrúnarkviða, a questo odio non corrisponde nessun senso di vendetta da
parte della donna, la quale, come la voce narrante di The Wife’s Lament accetta l’esilio e la distanza con triste rassegnazione, i versi a
riguardo sono espliciti Ungelice
is us e la rassegnazione è ancora più evidente in þæt mon eaþe tosliteðþæt te næfre gesomnad
wæs, uncer giedd geador.
Brevi riflessioni finali
L’approccio a un testo come Wulf and Eadwacer non può che essere difficoltoso: le numerose ambiguità
e la mancanza di informazioni certe danno vita unicamente a speculazioni.
Tuttavia, proprio queste caratteristiche potrebbero aver dato vita alla spinta
creativa che ha portato alla scrittura di tale testo, vista anche la sua
collocazione immediatamente precedente a quella degli Indovinelli. Ma anche
questa è una speculazione.
Bibliografia
Baker,
P. S., The Ambiguity of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Studies
in Philology>> 78, (1871).
Danielli,
S., Wulf, min Wulf, <<Neophilologus>> 91, (2007).
Godden, M., Lapidge M. (eds.), The
Cambridge Companion to Old English Literature, Cambridge University Press, Cambridge, 1991.
Lehmann, R. P. M., The
Metrics and Structure of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Philological
Quarterly>> 68, (1969).
Schofield, W. E., Signy’s
Lament, <<PMLA>> 17, (1902).
Thorpe, B., Codex
Exoniensis: A Collection of Anglo-Saxon Poetry, from a Manuscript in
the Library of the Dean and Chapter of Exeter, London,
1842.
[1] Þred può essere anche tradotto come “gruppo
di uomini”.
[2] La traduzione è volutamente resa in questo modo,
il senso letterale “noi siamo diversi” è portatore di ulteriore ambiguità. .
[3] Primo tentativo di interpretazione in assoluto
da parte di Benjamin Thorpe nel 1842. Thorpe descrive il suo sbigottimento nel
trovarsi davanti a questo testo << Riddle I.- Of this I can make
no sense, nor am I able to arrange the verses.>>. Cfr. B. Thorpe, Codex Exoniensis: A Collection
of Anglo-Saxon Poetry, from a Manuscript in the Library of the Dean and Chapter
of Exeter, London, 1842, p. 527.
[4] Traduzione “Per la mia gente è come un dono”.
[5] Cfr. R. P. M. Lehmann, The Metrics and
Structure of ‘Wulf and Eadwacer’, <<Philological
Quarterly>> 68, (1969), p. 157.
[6] P. S. Baker, The Ambiguity of ‘Wulf and
Eadwacer’, <<Studies in Philology>> 78, (1871), pp. 42-43.
[7] P. S. Baker, op. cit., p. 45.
[8] Avanzata da Bradley nel 1888.
[9] Sebbene finisca in –r non può rimandare al nomen
agentis poiché in questo caso risulterebbe *wacere, del quale
inoltre non si ha attestazione. P. S. Baker, op. cit., p. 49.
[10] Cfr. W. E., Schofield, Signy’s Lament, <<PMLA>>
17, (1902), pp. 262-295.
[11] Cfr. S. Danielli, Wulf, min Wulf, <<Neophilologus>>
91, (2007), p. 507.
[12] Letteralmente “ciò che il lupo ha lasciato
cadere”.